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Amministratore di condominio e proposizione di querela

Tanti sono i compiti dell’Amministratore di Condominio, ma quando si tratta di proposizione di querele nei confronti di soggetti che si presume abbiamo leso il condominio, va fatta chiarezza su ciò che può o non può fare l’Amministratore.

Ci viene in aiuto una pronuncia della Corte di Cassazione che afferma che è necessario uno specifico incarico conferito all’Amministratore perchè la presentazione della querela da parte sua, in relazione ad un reato commesso a danno del patrimonio condominiale, sia valida (Cass. Pen. Sez. VI n. 2347).

Vediamo perchè la Corte è giunta ad una tale conclusione.

Innanzitutto va ricordato che il condominio degli edifici è uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini e dunque quando uno di questi interessi è leso, la volontà di procedere penalmente nei confronti dell’autore della lesione deve emergere dallo strumento di gestione collegiale del condominio, ossia l’assemblea.

Infatti l’Amministratore, in qualità di mandatario dei condomini, esplica varie attività esecutive e gestionali in autonomia, in virtù del mandato conferito, ma il potere di presentare una querela esula dai predetti atti e dunque perchè possa procedere nei confronti dell’autore (o supposto tale) di un reato, l’Amministratore deve ricevere uno speciale e specifico mandato da parte dell’Assemblea, la quale manifesta così in maniera esplicita la volontà di perseguire penalmente l’autore del fatto.

Resta ferma la facoltà di ciascun condomino di proporre validamente una querela in riferimento ad un reato che si reputi abbia cagionato un danno al condominio.

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Querela presentata: e poi?

Denunciare è un diritto, come anche lo è interessarsi successivamente dell’eventuale processo penale che si instaura nei confronti del supposto autore del reato.

L’articolo 120 del Codice Penale disciplina infatti il diritto di querela, stabilendo che titolare del diritto è la persona offesa dal reato e specificando le particolari ipotesi di vittime minori, interdetti ed inabilitati.

A seguito del deposito dell’atto di denuncia – querela si avvia il procedimento penale e la persona offesa ha un ruolo attivo nel processo. Ma cosa può o deve fare?

La Corte di Cassazione si è trovata ad affrontare il quesito se configuri o meno remissione tacita di querela la mancata comparizione in udienza del querelante, ove avvertito dal giudice che l’assenza sarebbe stata interpretata come condotta incompatibile con la volontà di procedere e dunque quale remissione tacita di querela.

La risposta al quesito è stata in senso positivo (si veda da ultimo Cass. Pen. Sez. V ordinanza n. 18988/16). Può dunque ragionevolmente affermarsi che la mancata comparizione del querelante preavvertito del fatto che l’assenza in udienza possa essere interpretata quale carenza di volontà nel proseguire nell’intento punitivo, integri una ipotesi di remissione tacita di querela, esprimendo tale comportamento una libera e consapevole scelta del querelante in tal senso.

A quali conclusioni si può dunque giungere? Sicuramente si può affermare che il querelante, ove voglia insistere nell’intento punitivo nei confronti del presunto autore del reato, debba partecipare, quantomeno con la propria mera presenza, al processo che lo vede quale persona offesa dal reato.

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Il Grooming: come si adesca un minore in rete

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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Il termine inglese “grooming” sta ad indicare l’adescamento dei minori attraverso l’uso delle nuove tecnologie quali internet ed in particolare i social network.

Si tratta di una forma di adescamento punita dal nostro codice penale, che all’articolo 609 undecies, rubricato “adescamento di minorenni”, punisce chi adesca un minore degli anni sedici, allo scopo di commettere alcuni reati tra cui la prostituzione minorile, la violenza sessuale ed altri gravi delitti. E’ lo stesso articolo di legge a definire l’adescamento quale “atto volto a  carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Come bene si intuisce, dunque, si tratta di comportamenti posti volontariamente in essere dall’adulto adescatore per rendersi simpatico agli occhi del minore, così da carpirne la fiducia e creare un rapporto inizialmente virtuale e tendezialmente teso al contatto nella vita reale.

Forse a causa dell’accesso smodato alla rete da parte dei giovanissimi, il fenomeno del grooming è in costante crescita ed è proprio per questo che moltissimi esperti e professionisti dei settori coinvolti in questo fenomeno (avvocati, psicologi, ma anche insegnanti e non solo) svolgono una importante opera di sensibilizzazione volta anche e soprattutto ai genitori, affinchè guidino i propri figli adolescenti o poco più che bambini all’uso consapevole della rete, primo passo per tutelare la loro personalità in formazione.

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Violenza sessuale: l’inferiorità psichica della vittima

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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L’articolo 609 bis del Codice Penale disciplina la fattispecie di reato della violenza sessuale, prevedendo una pena per chi, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali. Medesima pena è prevista per chi induce taluno a compiere o a subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa oppure traendo la stessa in inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

L’induzione a compiere o a subire atti sessuali si realizza quando l’autore della condotta, con un’opera di persuasione che la giurisprudenza ha in più occasioni definito come sottile e subdola, spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (Cass. Pen. Sez. III n. 20776 del 03.06.2010).

La Cassazione ha più volte avuto modo di fornire anche il significato giuridico del termine “abuso”, qualificandolo quale doloroso sfruttamento da parte dell’autore del reato delle condizioni di menomazione della vittima, la quale viene strumentalizzata così da poter accedere alla sua sfera di intimità più profonda al fine di soddisfare i propri impulsi sessuali (Cass. Pen. Sez. IV n. 40795 del 03.10.2008). In particolare, indurre ad un atto sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichiche significa approfittare e strumentalizzare tali condizioni per accedere alla sfera intima di sessualità della vittima, che diviene mero oggetto di soddifacimento degli istinti di natura sessuale dell’autore della condotta.

Una precisazione va fatta in merito alle condizioni di inferiorità psichica al momento del fatto: tale condizioni non si indentifica sempre e necessariamente con patologie mentali, essendo sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minorata resistenza alle altrui opere di coazione psicologica dovute alle cause più diverse, tra cui, a mero titolo esemplificativo, un limitato processo evolutivo mentale e/o culturale, sempre che tali condizioni siano idonee a elidere in tutto o in parte la capacità della vittima di esprimere un valido consenso all’atto sessuale (Cass. Pen. Sez. III n. 38261 del 20.09.2007). In ogni caso è compito del giudice accertare e motivare nel caso concreto la sussistenza o meno dell’elemento della inferiorità psichica della vittima, fornendo adeguata motivazione a tal riguardo in sentenza.

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Facebook e diffamazione

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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Ormai tutti (o quasi) per le più svariate ragioni utilizzano i social network e a primeggiare sembra essere ancora facebook. Se è vero che la rete è un luogo privilegiato per conoscere persone, condividere esperienze e, oggi più che mai, muovere il mercato del lavoro, è atrettanto vero che on line, così come nella vita reale, è possibile commettere (e quindi essere vittima di) reati. In particolare in questo contributo ci si vuole dedicare alla diffamazione, fattispecie prevista e punita dall’articolo 595 c.p. che descrive la condotta di chi, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. Le pene sono peraltro più severe per chi reca l’offesa con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità. Ebbene, la giurisprudenza è concorde ed unanime nel sostenere che la diffamazione a mezzo facebook rientri nell’applicabilità della citata aggravante, con la conseguenza della possibilità di un aumento di pena per chi tiene una condotta diffamatoria utilizzando il citato social network e ciò sia che la frase a contenuto diffamatorio sia contenuta in un post, emerga nel corso di una conversazione, sia pubblicata sulla propria bacheca o altro. La sussistenza di quanto sostenuto deriva dal fatto che la diffusione di un messaggio attraverso lo strumento “facebook” ha la capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di persone (Cass. Pen. Sez. I n. 24431 del 28.04.2015). Limite alla rilevanza penale dei contentuti postati resta sempre la libertà di manifestazione del proprio pensiero, garantita dall’art. 21 Cost.., che però non permette, come è evidente, di intaccare la reputazione di ciascuna persona.

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Violenza sessuale: una particolare ipotesi di configurazione del reato

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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L’articolo 609 bis del Codice Penale punisce chi, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Così recita il primo comma della norma citata, integrante il reato di violenza sessuale.

Ma cosa si intende nel concreto per “violenza”? Nei tribunali se ne discute giornalmente ed ogni caso è ovviamente a sè ed un tema fondamentale intorno a cui ruota la configurabilità o meno del reato è il concetto di consenso. Si è a tal propostito espressa di recente la Suprema Corte, affermando che un rapporto iniziato consensualmente, ma proseguito con modalità diverse da quelle volute, o addirittura venuto meno il consenso inziale di una parte, comporta l’integrazione del reato di cui all’art. 609 bisc.p. (Cass. Pen. Sez. III n. 9221 del 07.03.2016). Infatti, perchè il rapporto possa dirsi consensuale, è necessario che la volontà dei partecipanti sia piena e completa nella globalità del rapporto e ciò a livello qualitativo e temporale.

Accade infatti di frequente che un iniziale consenso si trasformi in dissenso nel corso del rapporto e ciò per le più svariate ragioni, che fondano uno degli elementi del reato in discussione, intergando la fattispecie di violenza sessuale, posto che la libertà sessuale va tutelata quale libertà di espressione e di autodeterminazione afferente alla sfera esistenziale della persona e tale libertà è e deve essere inviolabile.

La Suprema Corte parla di “collaborazione” reciproca tra i soggetti coinvolti nel rapporto sessuale, collaborazione che, sempre a detta della Corte di Cassazione, deve permanere senza soluzione di continuità per l’intera durata del rapporto; ove così non fosse, fermo restando la presenza degli altri elementi della fattispecie, potrebbe sussistere il reato di violenza sessuale, di cui all’articolo 609 bis del Codice Penale.

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Vittima di un reato: come agire

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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Quando si è vittima di un reato, spesso non si sa come agire e a chi rivolgersi. Ecco allora una breve guida esplicativa.

Innanzitto distinguiamo i reati procedibili d’ufficio e a querela di parte. Dei primi fanno parte quei reati denunciabili da chiunque (e quindi non solo dalla vittima del reato) e procedibili a prescindere dalla presentazione della denuncia. Sono i reati più gravi per i quali, data appunto la gravità, le Autorità procedono indipendentemente dall’azione o volontà della vittima del reato medesimo. SI dicono invece procedibili a querela quei reati che necessitano l’intervento della persona offesa dal reato perchè si possa procedere e ciò accade, appunto, con la presentazione dell’atto di querela.

Come, dove e quando può essere sporta la querela?

Innanzitutto le modalità: la querela, ossia la dichiarazione con la quale si manifesta la volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato, può essere presentata oralmente o per iscritto, personalmente o per mezzo di un proprio procuratore speciale e va indirizzata agli appositi uffici siti presso le Procure della Repubblica o presso gli uffici di polizia (genericamente detti): polizia, carabinieri…

Titolare del diritto di querela è ongi persona offesa da un reato per cui non si debba procedere d’ufficio.

Attenzione ai tempi per la proposizione della querela: la regola generale (con alcune eccezioni) prevede infatti che si possa sporgere la querela entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato.

E se la persona offesa è un minore? In questo caso vanno distinte due ipotesi: la prima riguarda i minori degli anni 14 e la seconda i minori tra i 14 ed i 18 anni. Nel primo caso il diritto di querela è esercitato dai genitori o dal tutore; nella seconda ipotesi, il diritto di querela spetta anche al minore.

E se cambio idea dopo aver sporto la querela? La disciplina generale (con eccezioni che prevedono l’irrevocabilità della querela sporta) preveda che si possa rimettere la querela, ovvere ritirarla dopo averla sporta. La remissione può essere espressa o tacita. Nel primo caso la stessa consiste in una dichiarazione sottoscritta dal querelante e presentata personalmente o per mezzo di procuratore speciale; per remissione tacita si intende invece il caso in cui il querelante tenga comportamenti incompatibili con la volontà di propseguire nell’intento punitivo. Affinchè abbia efficacia, la remissione della querela deve essere accettata (con le formalità previste dalla legge) dal querelato. Effetto della remissione della querela (con conseguente accettazione) è l’estinzione del reato.

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