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Violenza sessuale: l’inferiorità psichica della vittima

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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L’articolo 609 bis del Codice Penale disciplina la fattispecie di reato della violenza sessuale, prevedendo una pena per chi, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali. Medesima pena è prevista per chi induce taluno a compiere o a subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa oppure traendo la stessa in inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

L’induzione a compiere o a subire atti sessuali si realizza quando l’autore della condotta, con un’opera di persuasione che la giurisprudenza ha in più occasioni definito come sottile e subdola, spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (Cass. Pen. Sez. III n. 20776 del 03.06.2010).

La Cassazione ha più volte avuto modo di fornire anche il significato giuridico del termine “abuso”, qualificandolo quale doloroso sfruttamento da parte dell’autore del reato delle condizioni di menomazione della vittima, la quale viene strumentalizzata così da poter accedere alla sua sfera di intimità più profonda al fine di soddisfare i propri impulsi sessuali (Cass. Pen. Sez. IV n. 40795 del 03.10.2008). In particolare, indurre ad un atto sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichiche significa approfittare e strumentalizzare tali condizioni per accedere alla sfera intima di sessualità della vittima, che diviene mero oggetto di soddifacimento degli istinti di natura sessuale dell’autore della condotta.

Una precisazione va fatta in merito alle condizioni di inferiorità psichica al momento del fatto: tale condizioni non si indentifica sempre e necessariamente con patologie mentali, essendo sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minorata resistenza alle altrui opere di coazione psicologica dovute alle cause più diverse, tra cui, a mero titolo esemplificativo, un limitato processo evolutivo mentale e/o culturale, sempre che tali condizioni siano idonee a elidere in tutto o in parte la capacità della vittima di esprimere un valido consenso all’atto sessuale (Cass. Pen. Sez. III n. 38261 del 20.09.2007). In ogni caso è compito del giudice accertare e motivare nel caso concreto la sussistenza o meno dell’elemento della inferiorità psichica della vittima, fornendo adeguata motivazione a tal riguardo in sentenza.

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Violenza sessuale: una particolare ipotesi di configurazione del reato

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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L’articolo 609 bis del Codice Penale punisce chi, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Così recita il primo comma della norma citata, integrante il reato di violenza sessuale.

Ma cosa si intende nel concreto per “violenza”? Nei tribunali se ne discute giornalmente ed ogni caso è ovviamente a sè ed un tema fondamentale intorno a cui ruota la configurabilità o meno del reato è il concetto di consenso. Si è a tal propostito espressa di recente la Suprema Corte, affermando che un rapporto iniziato consensualmente, ma proseguito con modalità diverse da quelle volute, o addirittura venuto meno il consenso inziale di una parte, comporta l’integrazione del reato di cui all’art. 609 bisc.p. (Cass. Pen. Sez. III n. 9221 del 07.03.2016). Infatti, perchè il rapporto possa dirsi consensuale, è necessario che la volontà dei partecipanti sia piena e completa nella globalità del rapporto e ciò a livello qualitativo e temporale.

Accade infatti di frequente che un iniziale consenso si trasformi in dissenso nel corso del rapporto e ciò per le più svariate ragioni, che fondano uno degli elementi del reato in discussione, intergando la fattispecie di violenza sessuale, posto che la libertà sessuale va tutelata quale libertà di espressione e di autodeterminazione afferente alla sfera esistenziale della persona e tale libertà è e deve essere inviolabile.

La Suprema Corte parla di “collaborazione” reciproca tra i soggetti coinvolti nel rapporto sessuale, collaborazione che, sempre a detta della Corte di Cassazione, deve permanere senza soluzione di continuità per l’intera durata del rapporto; ove così non fosse, fermo restando la presenza degli altri elementi della fattispecie, potrebbe sussistere il reato di violenza sessuale, di cui all’articolo 609 bis del Codice Penale.

Lo Studio Legale Mussi offre servizio di consulenza stragiudiziale ed assistenza giudiziale in materia, accompagnando le parti dal momento di commissione del reato, sino al completamento dell’intero corso dell’eventuale processo e relativi sviluppi. Per maggiori informazioni e contatti cliccate qui.

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