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Il Grooming: come si adesca un minore in rete

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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Il termine inglese “grooming” sta ad indicare l’adescamento dei minori attraverso l’uso delle nuove tecnologie quali internet ed in particolare i social network.

Si tratta di una forma di adescamento punita dal nostro codice penale, che all’articolo 609 undecies, rubricato “adescamento di minorenni”, punisce chi adesca un minore degli anni sedici, allo scopo di commettere alcuni reati tra cui la prostituzione minorile, la violenza sessuale ed altri gravi delitti. E’ lo stesso articolo di legge a definire l’adescamento quale “atto volto a  carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Come bene si intuisce, dunque, si tratta di comportamenti posti volontariamente in essere dall’adulto adescatore per rendersi simpatico agli occhi del minore, così da carpirne la fiducia e creare un rapporto inizialmente virtuale e tendezialmente teso al contatto nella vita reale.

Forse a causa dell’accesso smodato alla rete da parte dei giovanissimi, il fenomeno del grooming è in costante crescita ed è proprio per questo che moltissimi esperti e professionisti dei settori coinvolti in questo fenomeno (avvocati, psicologi, ma anche insegnanti e non solo) svolgono una importante opera di sensibilizzazione volta anche e soprattutto ai genitori, affinchè guidino i propri figli adolescenti o poco più che bambini all’uso consapevole della rete, primo passo per tutelare la loro personalità in formazione.

Lo Studio Legale Mussi offre servizio di consulenza stragiudiziale ed assistenza giudiziale in materia.

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Gli ordini di protezione contro gli abusi famigliari

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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La violenza in famiglia si sviluppa in maniera troppo spesso silenziosa e lenta, così da diventare purtroppo parte intergante della vita di tante persone e spesso di bambini. Forse non in molti conoscono gli strumenti utili a contrastare questo odioso fenomeno. Accanto alle “classiche” denunce alle Forze dell’Ordine per fatti costituenti reato, vi è uno strumento di natura civilistica che, in maniera tendenzialmente snella sia come procedere che come tempistica, può dare sollievo alle vittime di abuso domestico. Si tratta della disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi famigliari, di cui agli articoli  342 bis e 342 ter c.c. e 736 bis c.p.c..

Tale disciplina permette di richiedere determinate misure a tutela della vittime di abusi in famiglia, ove la condotta dell’abusante sia causa di un grave pregiudizio all’intergità fisica o morale o alla libertà del familiare convivente.

Scopo dell’istituto è dunque quello di permettere di combattere il triste e dilagante fenomeno della violenza famigliare. Peraltro la natura cautelare del provvedimento mira  a porre le condizioni per evitare il reiterarsi di condotte che possano causare pregiudizi irreparabili alla persona.

Ma quali sono i soggetti potenzialmente coinvolti? Si è parlato di “famiglia” che qui è vista nel senso più ampio del termine, come persone conviventi e unite da un progetto di vita (famigliare appunto) unitario. Dunque, a mero titolo esemplificativo, si può trattare di: coniugi, fratelli, conviventi (etero o omosessuali), compagno/a e figli del partner e così via.

Per quanto attinente le modalità di violenza, la normativa non opera restrizioni; può trattarsi di violenza fisica, verbale, psicologica, sottomissione economica, violenza contro gli oggetti, violenza assistita e quasiasi altra forma, purchè causa di grave pregiudizio per la vittima.

Affinchè si possa procedere è bene però sapere che non vi deve essere in corso un procedimento di separazione personale tra coniugi o divorzio.

Ma di fatto cosa stabilisce il Giudice adito? Il Giudice emette un provvedimento che ha alcuni contenuti necessari ed altri eventuali. Tra i primi abbiamo l’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole e la disposizione dell’allontanamento dell’abusante dalla casa famigliare. Sono invece eventuali il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla vittima, la richiesta di intervento di assistenti sociali e centri di mediazione famigliare per il sostegno alle vittime nonchè l’obbligo di pagamento di un assegno periodico a favore dei famigliari se, per l’effetto dell’allontamento dell’abusante, essi rimarrebbero privi degli adeguati mezzi economici. Qualora peraltro non venissero rispettati ed adempiuti gli obblighi impartiti, il giudice che ha emesso l’ordine di protezione potrebbe emettere i provvedimenti utili all’attuazione, con eventuale richiesta di intervento in ausilio della forza pubblica. Peraltro l’inosservanza degli obblighi impartiti interga il reato di cui all’art. 388 c.p., reato perseguibile a querela di parte, per cui è bene per la vittima che volesse denunciare procedere entro tre mesi dall’inosservaza del provvedimento da parte dell’obbligato.

In tema di durata del provvedimento, va ricordato che questa non può superare i sei mase, trattandosi di materia cautelare. Vi è la possibilità di richiedere però una proroga ove sussistessero gravi motivi.

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Minori: la violenza assistita

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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Le violenze in famiglia sono qualcosa di gravissimo e soprattutto sordo, poichè difficile è individuare, quantificare, riconoscere, intervenire. E spesso di questa violenza fisica, verbale, psicologica, cadono vittime i minori. Magari non direttamente; spesso i più piccoli assistono inermi alle liti tra i genitori: botte, insulti, minacce… In gergo giuridico questa condizione è ciò che viene definito “violenza assistita”: una forma di violenza domestica che si realizza allorquando il minore si trova costretto ad assistere ad atti violenti (di varia natura) tra le mura domestiche tra soggetti della famiglia in senso stretto o comunque tra soggetti legati a lui da uno stretto voncolo affettivo.

La sofferenza che deriva in capo ai minori che subiscono tale tipologia di violenza è, inutile dirlo, immensa e spesso porta strascichi pesanti lungo tutto il corso della vita del minore in formazione; proprio per questo è bene intervenire non appena si intravedano situazioni familiari con problematiche di questo tipo in essere. E l’attenzione non va solo alle Forze dell’Ordine, che non hanno chiaramente un contatto diretto con la realtà quotidiana di ogni famiglia, bensì a chi è più vicino a questi soggetti: parenti, amici, vicini di casa, insegnanti… Chiunque può informare le Forze dell’Ordine di episodi di violenza a cui abbia assistito in prima persona o di cui abbia conoscenza diretta o indiretta o anche qualora se ne abbia il mero sospetto, poichè la tutela del minore richiede sempre e comunque una grande attenzione ed un intervento, ove necessario, particolarmente sollecito e multidisciplinare.

Peraltro non solo condotte attive possono intergare gravi reati, ma anche omissioni; si fa riferimento in particolare all’art. 572 c.p., ossia il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, che punisce anche l’indifferenza e la trascuratezza verso i bisogni affettivi dei familiari, quale grave condotta maltrattante. E se a subire queste mancanze sono anche i figli, ulteriore richiamo va all’art. 147 c.c., che impone in capo ai genitori l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, norma dotata di copertura costituzionale, prevedendo l’art. 30 Cost. il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli.

Lo Studio Legale Mussi offre servizio di consulenza stragiudiziale ed assistenza giudiziale in materia, affiancando le vittime del reato con l’ausilio di esperti in materia psicologica e psicoterapica ed attuandosi, ove opportuno, nella richiesta di misure a tutela della famiglia e dei minori.  Per maggiori informazioni e contatti cliccate qui.

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