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Separazione: come comportarci con gli animali da compagnia

Chi ha un animale da compagnia lo ritiene, a ragione, un membro della famiglia. Ma le famiglie capita che si disgreghino e dunque come comportarci con i nostri amici a quattro zampe?

Un quesito certo non di poco conto.

Va valutato innanzitutto se l’affido dell’animale possa essere oggetto di decisione del giudice della separazione.

Secondo un primo orientamento, del godimento dell’animale si potrebbe discutere non in sede di separazione, bensì nel merito di un ordinario giudizio civile, ricorrendo agli strumenti previsti a tutela della proprietà. In sede di separazione si potrebbe discutere dell’affido dell’animale solo se consensuale e dunque se tra i punti dell’accordo tra i coniugi c’è anche la previsione della gestione dell’animale.

Con l’evolversi sociale e culturale si è però venuto a sviluppare un secondo orientamento, in base al quale l’animale potrebbe essere gestito in sede di separazione alla stregua di un figlio minore e dunque il giudice potrebbe entrare nel merito di affidamento, collocamento e valutazioni di naura economica. Questo sembrerebbe l’orientamento oggi prevalente ma il diritto, si sa, è una scienza in continuo mutamento e dunque non sappiamo cosa potrà accadere in futuro e quindi come potremo comportarci per tutela al meglio in nostri amici animali. Quello che sappiamo è che la coscienza sociale si sviluppa e dunque sempre più attenzione anche verso gli animali si vede ormai anche nella normativa e nelle aule di giustizia.

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Separazione e criterio della maternal preference

Storicamente la nostra è una società in cui alla madre è sempre stato demandato il compito di accudire la case ed i figli e all’uomo di fornire la sussistenza economica alla famiglia attraverso il proprio lavoro svolto al di fuori delle mura domestiche. Da tempo ormai questa tradizione è in fase di cambiamento. Un cambiamento sicuramente pratico, posto che nella gran parte delle famiglie si lavora in due, con divisione anche del lavoro domestico, anche se meno evidente dal punto di vista ideologico. Un esempio lo ritroviamo nelle aule di giustizia, quando si va a valutare quale debba essere il genitore collocatario dei figli minori.

In maniera purtroppo spesso quasi automatica, si conclude per il collocamento presso la madre, quasi a dare per scontato che sia la scelta migliore, lasciando quella per il padre una scelta residuale, un’eccezione che come tale interviene solo in casi rari.

E’ in corso una battaglia culturale con cui si vuole ottenere l’uguaglianza dei genitori ai fini della valutazione del genitore collocatario, per scardinarci finalmente dal mero criterio della maternal preference, ossia dal preconcetto per cui la madre sarebbe comunque il genitore preferenziale presso cui disporre il collocamento dei figli minori.

Ove infatti i genitori appaiano entrambi dotati di buona capacità genitoriale, è evidente come sia corretto tenere in considerazione criteri diversi che portino alla decisione migliore, ossia quella che rispetti l’interesse morale e materiale dei minori. Sì, perché l’unico faro che deve guidare avvocati e giudici nella scelta non può che essere (e ce lo dice la legge, ma anche il senso comune), il benessere del minore legato alla scelta che si va a fare.

E quindi andranno ad esempio presi in considerazione criteri quali il tempo che ciascun genitore potrebbe passare con i figli, e dunque anche orari e tipologia di lavoro svolto in rapporto alle necessità scolastiche ed extrascolastiche dei figli, il contesto di vita abitativo e sociale o la capacità educativa ed affettiva, per citarne solo alcuni.

Criterio primario di scelta deve quindi essere il superiore interesse morale e materiale del figlio, al di di ogni pregiudizio ideologico e culturale, posto che non è il genere il criterio dirimente, ma sono una serie di ulteriori elementi che vanno ben soppesati e valutati, specie alla luce di una struttura socio – famigliare che è evidentemente differente dal passato, che vede una parità di ruoli all’interno della famiglia tra padre e madre, tale da rendere il ruolo genitoriale di entrambi certamente diverso rispetto a quello che era un tempo.

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Emergenza sanitaria e diritto di visita dei figli di genitori separati

Come comportarsi in merito alle visite dei bambini in questo periodo di emergenza sanitaria se siamo separati?

Innanzitutto un punto fermo l’ha dato il Governo, interpretando la normativa nel modo seguente: gli spostamenti per raggiungere i figli presso l’altro genitore o per condurli presso di sé sono consentiti, con il limite di scegliere il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario, nonchè secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori.

Questa la possibilità; ma ci si deve interrogare, da genitori ragionevoli e consapevoli, sull’opportunità di valutare come comportarsi. Potrebbe magari essere scrupoloso ridurre gli spostamenti e optare per l’uso della teconologia (ad esempio videochiamate). E nel caso di disaccordo tra i genitori o dubbi, gli operatori del settore invitano ad affidarsi al supporto delle figure di riferimento in materia, quali ad esempio gli avvocati che assistono o hanno assistito nella fase di separazione e divorzio, che in qualità di mediatori possono aiutare a gestire le modalità di visita in questo periodo difficile che, paradossalmente, potrebbe diventare un ottimo banco di prova per recuperare una collaborazione tra genitori, sebbene separati, nell’ottica di tutela e benessere dei propri figli.

Perchè se è vero che il rapporto di coppia può finire, si è però per sempre genitori ed in questa veste si dovrà necessariamente collaborare per garantire la serena crescita dei propri figli.