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Separazione e divorzio: le risposte ad alcune delle più frequenti domande

Di seguito alcune informazioni utili in tema di separazione e divorzio.

Le questioni sono tantissime e qualora non doveste trovare qui le vostre risposte, potrete inviare i Vostri quesiti allo studio legale Mussi, che offre servizi di consulenza stragiudiziale ed assistenza giudiziale in materia.

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  1. Da quando va versato l’assegno di mantenimento a favore dei figli e/o del coniuge previsto nel provvedimento del giudice? Dalla data della domanda e dunque dal deposito del ricorso e ciò in base al principio per cui il diritto al mantenimento non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (Cass. Civ. Sez. I 11.07.2013 n. 17199).
  2. Eventuali aiuti economici da parte della famiglia d’origine fanno venire meno il dovere di versare il mantenimento? No. Gli eventuali aiuti economici che la famiglia del beneficiario del mantenimento dovesse fornire non hanno influenza sulla corresponsione del contributo al mantenimento da parte del coniuge a ciò obbligato.
  3. Può essere modificata l’entità dell’assegno del mantenimento? Sì, con un procedimento congiunto o giudiziale di modifica, appunto, delle condizioni di separazione a cui si può fare ricorso per chiedere un aumento o una diminuzione del contributo al mantenimento ove sopravvengano condizioni migliorative o peggiorative di uno o di entrambi i coniugi tra cui, a mero titolo esemplificativo, la nascita di altri figli, la perdita del lavoro…
  4. E’ possibile chiedere una revisione delle condizioni relative all’affidamento dei figli? Sì, qualora ne sussistano i presupposti, attraverso una richiesta di modifica delle condizioni di cui al provvedimento di separazione, indirizzata al Tribunale competente, adducendo adeguata motivazione a sostegno delle proprie richieste.
  5. I figli maggiorenni hanno diritto a ricevere un assegno di mantenimento? Sì, se non economicamente autosufficienti non per loro colpa (ad esempio perchè ancora studenti). Se i figli maggiorenni sono portatori di handicap, per quanto riguarda il contributo al mantenimento si applicano le disposizioni previste per i figli minorenni. 
  6. Come viene stabilito a chi assegnare la casa coniugale? La casa coniugale viene assegnata in via preferenziale (ma non necessariamente) al genitore prevalentemente collocatario dei figli, così che gli stessi possano continuare a beneficiare del medesimo ambiente famigliare di cui hanno sempre goduto e ciò può accadere anche se il proprietario sia l’altro genitore o addirittura un terzo.
  7. Le spese relative all’uso dell’immobile assegnato ad uno dei genitori a chi fanno capo? In mancanza di provvedimento che stabilisca che le spese d’uso (comprensive delle eventuali spese condominiali) siano a carico del proprietario, le stesse sono a carico dell’assegnatario. Le spese straordinarie sono invece comunque a carico del proprietario.

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Lo stalking condominiale

Poco c’è di più molesto di un vicino che interferisce nella nostra vita privata quotidiana, rendendoci invivibile quello che c’è di più caro, ossia la nostra casa e la quiete che in essa dovremmo trovare. Spesso purtroppo questa pace è violata ed è bene allora sapere che la legge ci può tutelare.

L’articolo 612 bis del Codice Penale disciplina il reato di atti persecutori (il cosiddetto “stalking”) quale condotta reiterata di chi minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Una forma di manifestazione del reato è costituita dal cosiddetto “stalking condominiale”, sussistente ove vi sia un condomino che esasperi i vicini tanto da costringerli a modificare le proprie abitudini di vita quotidiana per evitare le invasioni nella propria sfera di intimità e serenità personale nonché famigliare.

Il soggetto vittima di tali condotte può rivolgersi al Questore, segnalando i comportamenti molesti o, in alternativa oppure successivamente, procedere alla querela dell’autore delle molestie, essendo il reato procedibile appunto a querela della persona offesa, salvo che la vittima sia un minore o disabile, casi in cui il reato diviene procedibile d’ufficio. E’ bene ricordare che la querela va sporta entro sei mesi dal fatto che costituisce reato, termine previsto e prescritto dalla legge.

In sede di redazione della querela è possibile richiedere l’adozione di una misura cautelare ed in particolare si segnalano quelle previste dagli articoli 282 ter e 283 c.p.p., rispettivamente disciplinanti il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ed il divieto o obbligo di dimora.

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Il Grooming: come si adesca un minore in rete

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

www.avvocatomussi.it     chiara@avvocatomussi.it

Il termine inglese “grooming” sta ad indicare l’adescamento dei minori attraverso l’uso delle nuove tecnologie quali internet ed in particolare i social network.

Si tratta di una forma di adescamento punita dal nostro codice penale, che all’articolo 609 undecies, rubricato “adescamento di minorenni”, punisce chi adesca un minore degli anni sedici, allo scopo di commettere alcuni reati tra cui la prostituzione minorile, la violenza sessuale ed altri gravi delitti. E’ lo stesso articolo di legge a definire l’adescamento quale “atto volto a  carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Come bene si intuisce, dunque, si tratta di comportamenti posti volontariamente in essere dall’adulto adescatore per rendersi simpatico agli occhi del minore, così da carpirne la fiducia e creare un rapporto inizialmente virtuale e tendezialmente teso al contatto nella vita reale.

Forse a causa dell’accesso smodato alla rete da parte dei giovanissimi, il fenomeno del grooming è in costante crescita ed è proprio per questo che moltissimi esperti e professionisti dei settori coinvolti in questo fenomeno (avvocati, psicologi, ma anche insegnanti e non solo) svolgono una importante opera di sensibilizzazione volta anche e soprattutto ai genitori, affinchè guidino i propri figli adolescenti o poco più che bambini all’uso consapevole della rete, primo passo per tutelare la loro personalità in formazione.

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Gli ordini di protezione contro gli abusi famigliari

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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La violenza in famiglia si sviluppa in maniera troppo spesso silenziosa e lenta, così da diventare purtroppo parte intergante della vita di tante persone e spesso di bambini. Forse non in molti conoscono gli strumenti utili a contrastare questo odioso fenomeno. Accanto alle “classiche” denunce alle Forze dell’Ordine per fatti costituenti reato, vi è uno strumento di natura civilistica che, in maniera tendenzialmente snella sia come procedere che come tempistica, può dare sollievo alle vittime di abuso domestico. Si tratta della disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi famigliari, di cui agli articoli  342 bis e 342 ter c.c. e 736 bis c.p.c..

Tale disciplina permette di richiedere determinate misure a tutela della vittime di abusi in famiglia, ove la condotta dell’abusante sia causa di un grave pregiudizio all’intergità fisica o morale o alla libertà del familiare convivente.

Scopo dell’istituto è dunque quello di permettere di combattere il triste e dilagante fenomeno della violenza famigliare. Peraltro la natura cautelare del provvedimento mira  a porre le condizioni per evitare il reiterarsi di condotte che possano causare pregiudizi irreparabili alla persona.

Ma quali sono i soggetti potenzialmente coinvolti? Si è parlato di “famiglia” che qui è vista nel senso più ampio del termine, come persone conviventi e unite da un progetto di vita (famigliare appunto) unitario. Dunque, a mero titolo esemplificativo, si può trattare di: coniugi, fratelli, conviventi (etero o omosessuali), compagno/a e figli del partner e così via.

Per quanto attinente le modalità di violenza, la normativa non opera restrizioni; può trattarsi di violenza fisica, verbale, psicologica, sottomissione economica, violenza contro gli oggetti, violenza assistita e quasiasi altra forma, purchè causa di grave pregiudizio per la vittima.

Affinchè si possa procedere è bene però sapere che non vi deve essere in corso un procedimento di separazione personale tra coniugi o divorzio.

Ma di fatto cosa stabilisce il Giudice adito? Il Giudice emette un provvedimento che ha alcuni contenuti necessari ed altri eventuali. Tra i primi abbiamo l’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole e la disposizione dell’allontanamento dell’abusante dalla casa famigliare. Sono invece eventuali il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla vittima, la richiesta di intervento di assistenti sociali e centri di mediazione famigliare per il sostegno alle vittime nonchè l’obbligo di pagamento di un assegno periodico a favore dei famigliari se, per l’effetto dell’allontamento dell’abusante, essi rimarrebbero privi degli adeguati mezzi economici. Qualora peraltro non venissero rispettati ed adempiuti gli obblighi impartiti, il giudice che ha emesso l’ordine di protezione potrebbe emettere i provvedimenti utili all’attuazione, con eventuale richiesta di intervento in ausilio della forza pubblica. Peraltro l’inosservanza degli obblighi impartiti interga il reato di cui all’art. 388 c.p., reato perseguibile a querela di parte, per cui è bene per la vittima che volesse denunciare procedere entro tre mesi dall’inosservaza del provvedimento da parte dell’obbligato.

In tema di durata del provvedimento, va ricordato che questa non può superare i sei mase, trattandosi di materia cautelare. Vi è la possibilità di richiedere però una proroga ove sussistessero gravi motivi.

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