Abusivo esercizio di una professione: è sempre reato?

L’articolo 348 del Codice Penale prevede il reato di abusivo esercizio di una professione, punendo chi esercita una professione sprovvisto della richiesta abilitazione da parte dello Stato quali, ad esempio, il conseguimento di un titolo di studio o il mancato superamento del prescritto esame di Stato utile ad ottenere l’abilitazione all’esercizio di una determinata professione.

Una recente pronuncia della Suprema Corte ha affrontato un caso relativo ad una imputazione ex art. 348 c.p., ribadendo in sentenza che oggetto della tutela di cui all’art. 348 c.p., è costituito dall’interesse generale, riferito alla pubblica amministrazione, a che determinate professioni per il cui esercizio sono richiesti particolari requisiti, vengano esercitate da chi abbia conseguito una speciale abilitazione amministrativa e dunque risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge.

E’ evidente allora come la tutela in esame si estenda soltanto agli atti, come si dice in sentenza, “propri” o “tipici” delle suddette professioni e non anche agli atti connessi all’esercizio professionale, ma che difettano della tipicità richiesta, ben potendo essere posti in essere da qualsiasi interessato (Cass.Pen. Sez. II n. 38752/16).

Si può dunque concludere nel senso che il reato di abusivo esercizio di una professione ex art. 348 c.p. sussista ove un soggetto compia atti propri e tipici di una professione del cui titolo di abilitazione ai fini dell’esercizio sia sprovvisto.

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