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Violenza assistita: quando i minori percepiscono la commissione di un reato

Accade troppo spesso che i minori assistono ad atti violenti o comunque costituenti reato; si parla allora di “violenza assistita” quando un minore si trova costretto, suo malgrado, ad assistere alla commissione di un reato nei confronti di un altro soggetto o comunque ne percepisca la commissione.

Il fatto stesso che il minore percepisca la commissione del reato, rende infatti  la condotta criminosa più grave e dunque punita più gravemente: pensiamo a tutti i casi di violenza domestica a cui sono costretti ad assistere giorno dopo giorno piccoli indifesi. Proprio per questo la legge ha, tra gli altri strumenti, previsto la cosiddetta violenza assistita quale aggravante di una lunga serie di reati (cfr. art. 61 n. 11 quinquies del codice penale).

Ma la giurisprudenza ha sostenuto qualcosa di più: se il minore percepisce il reato, non solo lo stesso è aggravato, ma addirittura ne diventa vittima primaria anche il minore e dunque lo stesso, quale danneggiato dal reato, potrà costituirsi parte civile nel processo penale.

Per inciso, si vuole ricordare che atti di violenza non sono considerati solo quelli fisici, bensì anche quelli di natura psicologica o di altro genere: sudditanza economica,  continua umiliazione, vessazioni ed altri innumerevoli condotte riconducibili nell’alveo degli atti violenti.

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Querela presentata: e poi?

Denunciare è un diritto, come anche lo è interessarsi successivamente dell’eventuale processo penale che si instaura nei confronti del supposto autore del reato.

L’articolo 120 del Codice Penale disciplina infatti il diritto di querela, stabilendo che titolare del diritto è la persona offesa dal reato e specificando le particolari ipotesi di vittime minori, interdetti ed inabilitati.

A seguito del deposito dell’atto di denuncia – querela si avvia il procedimento penale e la persona offesa ha un ruolo attivo nel processo. Ma cosa può o deve fare?

La Corte di Cassazione si è trovata ad affrontare il quesito se configuri o meno remissione tacita di querela la mancata comparizione in udienza del querelante, ove avvertito dal giudice che l’assenza sarebbe stata interpretata come condotta incompatibile con la volontà di procedere e dunque quale remissione tacita di querela.

La risposta al quesito è stata in senso positivo (si veda da ultimo Cass. Pen. Sez. V ordinanza n. 18988/16). Può dunque ragionevolmente affermarsi che la mancata comparizione del querelante preavvertito del fatto che l’assenza in udienza possa essere interpretata quale carenza di volontà nel proseguire nell’intento punitivo, integri una ipotesi di remissione tacita di querela, esprimendo tale comportamento una libera e consapevole scelta del querelante in tal senso.

A quali conclusioni si può dunque giungere? Sicuramente si può affermare che il querelante, ove voglia insistere nell’intento punitivo nei confronti del presunto autore del reato, debba partecipare, quantomeno con la propria mera presenza, al processo che lo vede quale persona offesa dal reato.

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Rapina in abitazione

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

www.avvocatomussi.it     chiara@avvocatomussi.it

La propria abitazione dovrebbe essere il luogo per eccellenza di serenità, tranquillità, sicurezza; ma spesso così non è e la cronaca ce lo ricorda quotidinamente. Per questo motivo abbiamo deciso di dedicare un breve approfondimento alla rapina aggravata poichè eseguita mediante l’introduzione in luogo destinato a privata dimora, la cui discpiplina di riferimento può essere individuata agli articoli 628 e 624 bis del Codice Penale.

La giurisprudenza in materia ha avuto modo di puntualizzare recentemente che, ai fini della sussistenza del reato in esame, non rilevano le modalità di introduzione nell’abitazione, come nemmeno i rapporti tra vittima, autore del reato e luogo dei fatti, sempre che siano presenti tutti gli elementi richiesti ai fini della configurabilità della fattispecie. Punto fermo è infatti la tutela rafforzata di ogni luogo di privata dimora, coincidente o meno con il luogo di residenza della vittima.

Il reato può addirittura dirsi sussistente anche laddove venga commesso da soggetto inizialmente autorizzato dal titolare dei luoghi all’ingresso nei medesimi, non putendo tale presupposto fattuale (coincidente con un atteggiamento soggettivo della futura vittima) far venir meno l’eventuale responsabilità per fatti accaduti in seguito, anche dopo un brevissimo lasso temporale (Cass. Pen. Sez. II n. 2115/2016). Infatti, ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628 comma 3 n. 3 bis c.p., è sufficiente che la rapina sia commessa in uno dei luoghi previsti dall’art. 624 bis c.p. (Cass. Pe. Sez. II n. 48584 del 14.12.2011).

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Violenza sessuale: l’inferiorità psichica della vittima

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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L’articolo 609 bis del Codice Penale disciplina la fattispecie di reato della violenza sessuale, prevedendo una pena per chi, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali. Medesima pena è prevista per chi induce taluno a compiere o a subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa oppure traendo la stessa in inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

L’induzione a compiere o a subire atti sessuali si realizza quando l’autore della condotta, con un’opera di persuasione che la giurisprudenza ha in più occasioni definito come sottile e subdola, spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (Cass. Pen. Sez. III n. 20776 del 03.06.2010).

La Cassazione ha più volte avuto modo di fornire anche il significato giuridico del termine “abuso”, qualificandolo quale doloroso sfruttamento da parte dell’autore del reato delle condizioni di menomazione della vittima, la quale viene strumentalizzata così da poter accedere alla sua sfera di intimità più profonda al fine di soddisfare i propri impulsi sessuali (Cass. Pen. Sez. IV n. 40795 del 03.10.2008). In particolare, indurre ad un atto sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichiche significa approfittare e strumentalizzare tali condizioni per accedere alla sfera intima di sessualità della vittima, che diviene mero oggetto di soddifacimento degli istinti di natura sessuale dell’autore della condotta.

Una precisazione va fatta in merito alle condizioni di inferiorità psichica al momento del fatto: tale condizioni non si indentifica sempre e necessariamente con patologie mentali, essendo sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minorata resistenza alle altrui opere di coazione psicologica dovute alle cause più diverse, tra cui, a mero titolo esemplificativo, un limitato processo evolutivo mentale e/o culturale, sempre che tali condizioni siano idonee a elidere in tutto o in parte la capacità della vittima di esprimere un valido consenso all’atto sessuale (Cass. Pen. Sez. III n. 38261 del 20.09.2007). In ogni caso è compito del giudice accertare e motivare nel caso concreto la sussistenza o meno dell’elemento della inferiorità psichica della vittima, fornendo adeguata motivazione a tal riguardo in sentenza.

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Minori: la violenza assistita

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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Le violenze in famiglia sono qualcosa di gravissimo e soprattutto sordo, poichè difficile è individuare, quantificare, riconoscere, intervenire. E spesso di questa violenza fisica, verbale, psicologica, cadono vittime i minori. Magari non direttamente; spesso i più piccoli assistono inermi alle liti tra i genitori: botte, insulti, minacce… In gergo giuridico questa condizione è ciò che viene definito “violenza assistita”: una forma di violenza domestica che si realizza allorquando il minore si trova costretto ad assistere ad atti violenti (di varia natura) tra le mura domestiche tra soggetti della famiglia in senso stretto o comunque tra soggetti legati a lui da uno stretto voncolo affettivo.

La sofferenza che deriva in capo ai minori che subiscono tale tipologia di violenza è, inutile dirlo, immensa e spesso porta strascichi pesanti lungo tutto il corso della vita del minore in formazione; proprio per questo è bene intervenire non appena si intravedano situazioni familiari con problematiche di questo tipo in essere. E l’attenzione non va solo alle Forze dell’Ordine, che non hanno chiaramente un contatto diretto con la realtà quotidiana di ogni famiglia, bensì a chi è più vicino a questi soggetti: parenti, amici, vicini di casa, insegnanti… Chiunque può informare le Forze dell’Ordine di episodi di violenza a cui abbia assistito in prima persona o di cui abbia conoscenza diretta o indiretta o anche qualora se ne abbia il mero sospetto, poichè la tutela del minore richiede sempre e comunque una grande attenzione ed un intervento, ove necessario, particolarmente sollecito e multidisciplinare.

Peraltro non solo condotte attive possono intergare gravi reati, ma anche omissioni; si fa riferimento in particolare all’art. 572 c.p., ossia il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, che punisce anche l’indifferenza e la trascuratezza verso i bisogni affettivi dei familiari, quale grave condotta maltrattante. E se a subire queste mancanze sono anche i figli, ulteriore richiamo va all’art. 147 c.c., che impone in capo ai genitori l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, norma dotata di copertura costituzionale, prevedendo l’art. 30 Cost. il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli.

Lo Studio Legale Mussi offre servizio di consulenza stragiudiziale ed assistenza giudiziale in materia, affiancando le vittime del reato con l’ausilio di esperti in materia psicologica e psicoterapica ed attuandosi, ove opportuno, nella richiesta di misure a tutela della famiglia e dei minori.  Per maggiori informazioni e contatti cliccate qui.

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Vittima di un reato: come agire

A cura dell’Avvocato Chiara Mussi

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Quando si è vittima di un reato, spesso non si sa come agire e a chi rivolgersi. Ecco allora una breve guida esplicativa.

Innanzitto distinguiamo i reati procedibili d’ufficio e a querela di parte. Dei primi fanno parte quei reati denunciabili da chiunque (e quindi non solo dalla vittima del reato) e procedibili a prescindere dalla presentazione della denuncia. Sono i reati più gravi per i quali, data appunto la gravità, le Autorità procedono indipendentemente dall’azione o volontà della vittima del reato medesimo. SI dicono invece procedibili a querela quei reati che necessitano l’intervento della persona offesa dal reato perchè si possa procedere e ciò accade, appunto, con la presentazione dell’atto di querela.

Come, dove e quando può essere sporta la querela?

Innanzitutto le modalità: la querela, ossia la dichiarazione con la quale si manifesta la volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato, può essere presentata oralmente o per iscritto, personalmente o per mezzo di un proprio procuratore speciale e va indirizzata agli appositi uffici siti presso le Procure della Repubblica o presso gli uffici di polizia (genericamente detti): polizia, carabinieri…

Titolare del diritto di querela è ongi persona offesa da un reato per cui non si debba procedere d’ufficio.

Attenzione ai tempi per la proposizione della querela: la regola generale (con alcune eccezioni) prevede infatti che si possa sporgere la querela entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato.

E se la persona offesa è un minore? In questo caso vanno distinte due ipotesi: la prima riguarda i minori degli anni 14 e la seconda i minori tra i 14 ed i 18 anni. Nel primo caso il diritto di querela è esercitato dai genitori o dal tutore; nella seconda ipotesi, il diritto di querela spetta anche al minore.

E se cambio idea dopo aver sporto la querela? La disciplina generale (con eccezioni che prevedono l’irrevocabilità della querela sporta) preveda che si possa rimettere la querela, ovvere ritirarla dopo averla sporta. La remissione può essere espressa o tacita. Nel primo caso la stessa consiste in una dichiarazione sottoscritta dal querelante e presentata personalmente o per mezzo di procuratore speciale; per remissione tacita si intende invece il caso in cui il querelante tenga comportamenti incompatibili con la volontà di propseguire nell’intento punitivo. Affinchè abbia efficacia, la remissione della querela deve essere accettata (con le formalità previste dalla legge) dal querelato. Effetto della remissione della querela (con conseguente accettazione) è l’estinzione del reato.

Lo Studio Legale Mussi offre servizio di consulenza stragiudiziale ed assistenza giudiziale in materia, accompagnando la vittima del reato dalla redazione dell’atto di denuncia – querela, sino all’eventuale corso del proceso penale. Per maggiori informazioni e contatti cliccate qui.

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