Archivi categoria: vittima di reato

Violenza sulle donne: quali forme di intervento e tutela?

Violenza sulle donne: parlarne oggi sembra cosa semplice, ma in realtà è solo nel 1993 che questo tipo di violenza è stata classificata come violazione dei diritti umani e successivamente nel 2002 qualificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un problema di salute pubblica, tanto che per medici ed operatori di pronto soccorso esistono apposite linee guida per gestire donne le vittime di violenza anche in caso di accesso emergenziale in pronto soccorso.

Tante possono essere le forme di violenza contro le donne e tra queste la più nota è forse quella domestica, ossia quella perpetrata da un membro della famiglia, spesso il partner, ma non necessariamente. E non si tratta solo di botte: la violenza può essere fisica, certo, ma ne esistono di modalità più subdole, meno evidenti, quali quella psicologica o economica. E in molti casi a subirne gli effetti sono anche i figli, vittime anch’essi di una forma di violenza detta secondaria.

Ma la violenza può essere esternata anche sul posto di lavoro sotto forma di molestie o discriminazioni, o ancora legata a tradizioni culturali, come nel caso delle mutilazioni genitali o dei matrimoni combinati e l’elenco può continuare.

Cosa fare se si è vittima di violenza o si è a conoscenza di donne che subiscono o hanno subito atti violenti?

Premettiamo che esistono reti antiviolenza composte da operatori esperti in varie materie che sostengono vittime, autori e minori: operatori sanitari, avvocati, psicologi, forze dell’ordine, centri antiviolenza…

Ciò premesso, a seconda dei casi, ci si potrà rivolgere a:

– centri antiviolenza: si attiveranno per dare tutela alla donna sotto varie forme (psicologica, legale, abitativa…), accompagnando la donna nel percorso per affrontare ciò che le sta accadendo e riprendere in mano la propria vita, libera dalla violenza e con una riacquisita consapevolezza di sé e delle proprie capacità e possibilità;

– forze dell’ordine / avvocati: forniscono supporto nel formalizzare denunce o querele per le violenze subite e richiedere, ove ne sussistono i presupposti, misure protettive quali misure cautelari, misure di prevenzione, ordini di protezione…;

– questore: nelle ipotesi di stalking e violenza domestica, a determinate condizioni è previsto lo strumento dell’ammonimento, con cui il questore ammonisce appunto il maltrattante; è una forma di tutela anticipata che ha lo scopo di frenare o bloccare l’escalation criminale senza denunciare, posto che si tratta di un atto di natura amministrativa;

– pronto soccorso: quando una donna giunge in pronto soccorso a causa di un atto violento subito (percosse, lesione, violenza sessuale…) si attiva una procedura apposita ad intervento e sostegno psico – fisico della donna.

Viste le forme di tutela per la donna, è bene ricordare che esistono forme di sostegno anche a favore degli uomini maltrattanti, percorsi che aiutano l’uomo violento ad affrontare la sua condizione, con la volontà di uscirne.

Da ultimo alcuni riferimenti utili:

– 1522: numero nazionale antiviolenza;

– app Non sei sola: app di regione Lombardia che, tra le altre funzioni, permette di ricercare i centri antiviolenza più vicini;

– app areu: app di regione Lombardia che, tra le altre funzioni, permette la chiamata muta, fondamentale in casi di violenza ove, ad esempio per la presenza del maltrattante, la donna non può parlare.

Se avete considerazioni o domande specifiche, potete utilizzare la sezione contatti del sito.

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Chiara Mussi – Avvocato

Cyberbullismo: aspetti di base

Per affrontare il tema del cyberbullismo in tutti i suoi aspetti non basterebbe un manuale, ma iniziamo a vedere come lo definisce la legge: “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identita’, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonche’ la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o piu’ componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo” (articolo 2 legge 71/2017).

Detto in parole semplici, si ha cyberbullismo quando un soggetto minore che fa del male ad un altro minore attraverso mezzi telematici quali ad esempio i noti social network o gli strumenti di messaggistica, così da sottoporlo ad una spettacolarizzazione violenta potenzialmente globale che lo riguarda, ma certamente rilevante dal punto di vista delle conseguenze nella cerchia di conoscenze.

Gli attori del cyberbullismo sono tanti e tra questi troviamo sicuramente autori, vittime, genitori, insegnanti e figure educative e di riferimento in genere.

Per quanto riguarda le responsabilità, iniziamo col dire che ce ne sono essenzialmente di due tipi: una penale per cui è punibile solo il minore ultraquattordicenne autore di fatti che costituiscono reato e una civile che ammette richieste prevalentemente di tipo risarcitorio anche nei confronti, a determinate condizioni, dei genitori dell’autore e/o dell’amministrazione scolastica, oltre a richieste di oscuramento dei contenuti postati rivolte al gestore del sito internet dove il fatto è “accaduto” o ancora l’istanza di ammonimento rivolta al questore. Vittima può essere invece ogni soggetto minore degli anni diciotto.

Per quanto riguarda la scuola, essa ha un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda la prevenzione, ma anche in fase successiva rispetto a fatti rilevanti, posto che il dirigente scolastico informa i genitori dell’autore del fatto e della vittima, attivando azioni di carattere (ri)educativo, ma anche eventualmente punitivo (ove i fatti costituiscano reato, saranno invece le autorità a procedere d’ufficio o a seguito proposizione di querela).

Per ora mi fermo qui, posto che le informazioni da fornire sarebbero moltissime.

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Chiara Mussi – Avvocato

Violenza assistita: bambini vittime involontarie

Si definisce violenza assistita quel particolare tipo di violenza soprattutto di natura psicologica subita dai bambini costretti ad assistere ad episodi di violenza fisica o psicologica all’interno del contesto famigliare. Bambini e adolescenti sono troppo spesso costretti ad essere spettatori involontari dei più svariati generi di violenza perpetrata tra genitori o altre figure di riferimento affettivo, con gravi e spesso irreparabili conseguenze sulla psiche e dunque sulla crescita psico – fisica.

Posta la gravità della situazione ed il numero elevatissimo dei casi, le pena per chi compie reati in ambito famigliare alla presenza di minori sono aumentate in virtù dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 11 quinquies del codice penale ed i minori sono considerate a tutti gli effetti persone offese dal reato, con tutte le conseguenze processuali e non solo che ne derivano quale, tra le altre, la facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale a carico dell’autore della violenza primaria.

Resta comunque il problema di scoprire tali situazioni ed intervenire in maniera da tutelare i minori, ma come ben sappiamo quello sociale è l’aspetto più difficile da gestire, molto più di quello normativo – giuridico.

Per quanto riguarda i casi di violenza tra coniugi in fase di separazione, è bene ricordare che l’accertata condotta violenta di un genitore in ambito famigliare può essere causa di esclusione del regime ordinario di affidamento congiunto, determinando così la possibilità per il giudice civile di adottare il regime dell’affidamento esclusivo. La motivazione è evidente: il principio di bigenitorialità incontra un limite nell’atteggiamento violento e penalmente rilevante di un genitore verso l’altro.

Lo Studio Legale Mussi offre servizio di consulenza stragiudiziale ed assistenza giudiziale in materia.

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Vittime di violenza: un cortometraggio che tocca il cuore

Chiunque può essere vittima di violenza: una donna che viene picchiata dal compagno, un papà a cui sono negati i figli, un bambino che è costretto ad ascoltare le liti dei genitori, una dipendente che per non perdere il lavoro si sottomette al datore di lavoro…

Le forme di violenza sono infinite e altrettanti possono esserne i destinatari.

E’ difficile chiedere aiuto, si teme di non essere capiti, di essere giudicati, di sentirsi dire di sopportare, che passerà, che si stanno ingigantendo le cose.

 E ancora peggio sono i casi in cui la violenza diventa parte della propria vita e non la si denuncia perchè diventa normale.

Il cortometraggio “piccole cose di valore non quantificabile” ci porta a pensare a tutto questo: da qualunque parte stiamo o potremmo essere, è lo specchio di una realtà che ci circonda ma che forse troppo spesso non vogliamo o ci fa comodo non vedere.

Buona visione.

Violenza assistita: quando i minori percepiscono la commissione di un reato

Accade troppo spesso che i minori assistono ad atti violenti o comunque costituenti reato; si parla allora di “violenza assistita” quando un minore si trova costretto, suo malgrado, ad assistere alla commissione di un reato nei confronti di un altro soggetto o comunque ne percepisca la commissione.

Il fatto stesso che il minore percepisca la commissione del reato, rende infatti  la condotta criminosa più grave e dunque punita più gravemente: pensiamo a tutti i casi di violenza domestica a cui sono costretti ad assistere giorno dopo giorno piccoli indifesi. Proprio per questo la legge ha, tra gli altri strumenti, previsto la cosiddetta violenza assistita quale aggravante di una lunga serie di reati (cfr. art. 61 n. 11 quinquies del codice penale).

Ma la giurisprudenza ha sostenuto qualcosa di più: se il minore percepisce il reato, non solo lo stesso è aggravato, ma addirittura ne diventa vittima primaria anche il minore e dunque lo stesso, quale danneggiato dal reato, potrà costituirsi parte civile nel processo penale.

Per inciso, si vuole ricordare che atti di violenza non sono considerati solo quelli fisici, bensì anche quelli di natura psicologica o di altro genere: sudditanza economica,  continua umiliazione, vessazioni ed altri innumerevoli condotte riconducibili nell’alveo degli atti violenti.

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Amministratore di condominio e proposizione di querela

Tanti sono i compiti dell’Amministratore di Condominio, ma quando si tratta di proposizione di querele nei confronti di soggetti che si presume abbiamo leso il condominio, va fatta chiarezza su ciò che può o non può fare l’Amministratore.

Ci viene in aiuto una pronuncia della Corte di Cassazione che afferma che è necessario uno specifico incarico conferito all’Amministratore perchè la presentazione della querela da parte sua, in relazione ad un reato commesso a danno del patrimonio condominiale, sia valida (Cass. Pen. Sez. VI n. 2347).

Vediamo perchè la Corte è giunta ad una tale conclusione.

Innanzitutto va ricordato che il condominio degli edifici è uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini e dunque quando uno di questi interessi è leso, la volontà di procedere penalmente nei confronti dell’autore della lesione deve emergere dallo strumento di gestione collegiale del condominio, ossia l’assemblea.

Infatti l’Amministratore, in qualità di mandatario dei condomini, esplica varie attività esecutive e gestionali in autonomia, in virtù del mandato conferito, ma il potere di presentare una querela esula dai predetti atti e dunque perchè possa procedere nei confronti dell’autore (o supposto tale) di un reato, l’Amministratore deve ricevere uno speciale e specifico mandato da parte dell’Assemblea, la quale manifesta così in maniera esplicita la volontà di perseguire penalmente l’autore del fatto.

Resta ferma la facoltà di ciascun condomino di proporre validamente una querela in riferimento ad un reato che si reputi abbia cagionato un danno al condominio.

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Infortuni sul lavoro: la (cor)responsabilità del lavoratore

In materia di infortuni sul lavoro si tende spesso a incolpare con facilità i datori di lavoro che, sebbene titolari di una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori, non sempre possono o devono essere ritenuti completamente responsabili degli infortuni accorsi sul luogo di lavoro.

Gioca un ruolo fondamentale l’eventuale comportamento abnorme del lavoratore.

L’attuale sistema in materia antinfortunistica viene infatti definito “collaborativo”, per evidenziare la ripartizione di obblighi tra più soggetti, tra cui anche gli stessi lavoratori accanto ai datori di lavoro.

Si parla allora di comportamento “esorbitante” in riferimento a quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni, ordini e disposizioni impartiti dal datore di lavoro nell’ambito del contesto lavorativo. Si definisce poi “abnorme” la condotta imprevedibile posta in essere dal lavoratore al di fuori del contesto lavorativo e che nulla ha a che vedere con l’attività che gli compete.

La normativa impone ai lavoratori di agire con diligenza, prudenza e perizia nello svolgimento delle proprie attività, osservando le imposte regole cautelari.

Nelle ipotesi di infortunio sul lavoro, la giurisprudenza tende sempre con maggior frequenza a seguire ed applicare il cosiddetto “principio di autoresponsabilità del lavoratore” e dunque il datore di lavoro smette in buona sostanza di avere un obbligo di vigilanza assoluta sul lavoratore, ma al contrario, una volta forniti tutti i mezzi necessari alla prevenzione dagli infortuni sul lavoro, egli non sarà più tenuto a rispondere dall’evento lesivo se derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.

Certo è che, pur a fronte di un comportamento imprudente del lavoratore, in assenza di adeguata e puntuale adozione dei mezzi di prevenzione da parte del datore di lavoro, quest’ultimo rimarrebbe responsabile (o corresponsabile) dell’evento.

Quelli richiamati sono chiaramente principi generali, restando evidente che ogni caso concreto va valutato nella sua peculiarità.

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Querela presentata: e poi?

Denunciare è un diritto, come anche lo è interessarsi successivamente dell’eventuale processo penale che si instaura nei confronti del supposto autore del reato.

L’articolo 120 del Codice Penale disciplina infatti il diritto di querela, stabilendo che titolare del diritto è la persona offesa dal reato e specificando le particolari ipotesi di vittime minori, interdetti ed inabilitati.

A seguito del deposito dell’atto di denuncia – querela si avvia il procedimento penale e la persona offesa ha un ruolo attivo nel processo. Ma cosa può o deve fare?

La Corte di Cassazione si è trovata ad affrontare il quesito se configuri o meno remissione tacita di querela la mancata comparizione in udienza del querelante, ove avvertito dal giudice che l’assenza sarebbe stata interpretata come condotta incompatibile con la volontà di procedere e dunque quale remissione tacita di querela.

La risposta al quesito è stata in senso positivo (si veda da ultimo Cass. Pen. Sez. V ordinanza n. 18988/16). Può dunque ragionevolmente affermarsi che la mancata comparizione del querelante preavvertito del fatto che l’assenza in udienza possa essere interpretata quale carenza di volontà nel proseguire nell’intento punitivo, integri una ipotesi di remissione tacita di querela, esprimendo tale comportamento una libera e consapevole scelta del querelante in tal senso.

A quali conclusioni si può dunque giungere? Sicuramente si può affermare che il querelante, ove voglia insistere nell’intento punitivo nei confronti del presunto autore del reato, debba partecipare, quantomeno con la propria mera presenza, al processo che lo vede quale persona offesa dal reato.

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Rapina: l’aggravante dell’uso delle armi

Nel disciplinare il delitto di rapina, l’articolo 628 del Codice Penale prevede quale aggravante l’uso delle armi, con il conseguente aumento di pena se la violenza o la minaccia è commessa, appunto, con armi.

Ma quando un’arma può definirsi tale? Non è un quesito così scontato e infatti spesso nei Tribunali ci si trova a ragionare su questo tema.

La Corte di Cassazione è giunta, a riguardo, alla conclusione per cui perchè l’aggravante dell’uso delle armi in tema di delitto di rapina sussista, non è necessario che l’autore del reato abbia fatto uso di un’arma vera e propria, destinata cioè ad offendere come è suo uso, dando infatti la giurisprudenza rilievo all’effetto intimidatorio che l’arma ha sulla persona offesa, a prescindere dal fatto che essa sia vera oppure no (si vedano, ad esempio, i numerosi casi di utilizzo di armi giocattolo).

In conclusione: ove sia utilizzata un’arma che di fatto tale non è, se però essa ha avuto un effetto intimidatorio sulla vittima, allora la rapina può dirsi aggravata dall’uso delle armi.

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Lo stalking condominiale

Poco c’è di più molesto di un vicino che interferisce nella nostra vita privata quotidiana, rendendoci invivibile quello che c’è di più caro, ossia la nostra casa e la quiete che in essa dovremmo trovare. Spesso purtroppo questa pace è violata ed è bene allora sapere che la legge ci può tutelare.

L’articolo 612 bis del Codice Penale disciplina il reato di atti persecutori (il cosiddetto “stalking”) quale condotta reiterata di chi minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Una forma di manifestazione del reato è costituita dal cosiddetto “stalking condominiale”, sussistente ove vi sia un condomino che esasperi i vicini tanto da costringerli a modificare le proprie abitudini di vita quotidiana per evitare le invasioni nella propria sfera di intimità e serenità personale nonché famigliare.

Il soggetto vittima di tali condotte può rivolgersi al Questore, segnalando i comportamenti molesti o, in alternativa oppure successivamente, procedere alla querela dell’autore delle molestie, essendo il reato procedibile appunto a querela della persona offesa, salvo che la vittima sia un minore o disabile, casi in cui il reato diviene procedibile d’ufficio. E’ bene ricordare che la querela va sporta entro sei mesi dal fatto che costituisce reato, termine previsto e prescritto dalla legge.

In sede di redazione della querela è possibile richiedere l’adozione di una misura cautelare ed in particolare si segnalano quelle previste dagli articoli 282 ter e 283 c.p.p., rispettivamente disciplinanti il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ed il divieto o obbligo di dimora.

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