Tutti gli articoli di Chiara Mussi

Amministrazione di sostegno: un istituto a tutela dei più deboli

Nella vita di ciascuno di noi può capitare di incorrere in stati di infermità o menomazione fisica o psichica. Ciò può durare un periodo o essere per sempre, e può essere una riduzione totale o parziale delle nostre capacità. Che fare in questi casi? Può intervenire l’istituto dell’amministrazione di sostegno, ossia una misura di protezione di soggetti in situazioni di fragilità, certamente più elastica e meno invasiva di interdizione ed inabilitazione, limitando semplicemente la capacità di agire nella misura in cui il beneficiario non è in grado di attendere alle sue attività e prendere decisioni per la propria persona.

A poter presentare ricorso per la nomina di amministratore di sostegno po’ essere, tra gli altri, lo stesso beneficiario, il coniuge, il convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado.

Per la procedura non è necessario farsi assistere da un avvocato, anche se l’assistenza è opportuna posto il (seppur minimo) tecnicismo della procedura e l’estraneità emotiva del professionista, elemento di non poco conto.

Tralasciando gli aspetti tecnici della procedura, ricordo che l’amministratore, che potrà essere anche un parente o comunque una persona vicina all’amministrato, potrà intervenire nella cura della persona e del patrimonio dell’amministrato, in maniera più o meno incisiva in base a quanto disposto dal giudice.

Da ultimo ricordo che l’istituto vuole tutelare la persona e gli interessi dell’amministrato, che peraltro è parte attiva della procedura e non dei terzi richiedenti.

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Separazione: come comportarci con gli animali da compagnia

Chi ha un animale da compagnia lo ritiene, a ragione, un membro della famiglia. Ma le famiglie capita che si disgreghino e dunque come comportarci con i nostri amici a quattro zampe?

Un quesito certo non di poco conto.

Va valutato innanzitutto se l’affido dell’animale possa essere oggetto di decisione del giudice della separazione.

Secondo un primo orientamento, del godimento dell’animale si potrebbe discutere non in sede di separazione, bensì nel merito di un ordinario giudizio civile, ricorrendo agli strumenti previsti a tutela della proprietà. In sede di separazione si potrebbe discutere dell’affido dell’animale solo se consensuale e dunque se tra i punti dell’accordo tra i coniugi c’è anche la previsione della gestione dell’animale.

Con l’evolversi sociale e culturale si è però venuto a sviluppare un secondo orientamento, in base al quale l’animale potrebbe essere gestito in sede di separazione alla stregua di un figlio minore e dunque il giudice potrebbe entrare nel merito di affidamento, collocamento e valutazioni di naura economica. Questo sembrerebbe l’orientamento oggi prevalente ma il diritto, si sa, è una scienza in continuo mutamento e dunque non sappiamo cosa potrà accadere in futuro e quindi come potremo comportarci per tutela al meglio in nostri amici animali. Quello che sappiamo è che la coscienza sociale si sviluppa e dunque sempre più attenzione anche verso gli animali si vede ormai anche nella normativa e nelle aule di giustizia.

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Separazione e criterio della maternal preference

Storicamente la nostra è una società in cui alla madre è sempre stato demandato il compito di accudire la case ed i figli e all’uomo di fornire la sussistenza economica alla famiglia attraverso il proprio lavoro svolto al di fuori delle mura domestiche. Da tempo ormai questa tradizione è in fase di cambiamento. Un cambiamento sicuramente pratico, posto che nella gran parte delle famiglie si lavora in due, con divisione anche del lavoro domestico, anche se meno evidente dal punto di vista ideologico. Un esempio lo ritroviamo nelle aule di giustizia, quando si va a valutare quale debba essere il genitore collocatario dei figli minori.

In maniera purtroppo spesso quasi automatica, si conclude per il collocamento presso la madre, quasi a dare per scontato che sia la scelta migliore, lasciando quella per il padre una scelta residuale, un’eccezione che come tale interviene solo in casi rari.

E’ in corso una battaglia culturale con cui si vuole ottenere l’uguaglianza dei genitori ai fini della valutazione del genitore collocatario, per scardinarci finalmente dal mero criterio della maternal preference, ossia dal preconcetto per cui la madre sarebbe comunque il genitore preferenziale presso cui disporre il collocamento dei figli minori.

Ove infatti i genitori appaiano entrambi dotati di buona capacità genitoriale, è evidente come sia corretto tenere in considerazione criteri diversi che portino alla decisione migliore, ossia quella che rispetti l’interesse morale e materiale dei minori. Sì, perché l’unico faro che deve guidare avvocati e giudici nella scelta non può che essere (e ce lo dice la legge, ma anche il senso comune), il benessere del minore legato alla scelta che si va a fare.

E quindi andranno ad esempio presi in considerazione criteri quali il tempo che ciascun genitore potrebbe passare con i figli, e dunque anche orari e tipologia di lavoro svolto in rapporto alle necessità scolastiche ed extrascolastiche dei figli, il contesto di vita abitativo e sociale o la capacità educativa ed affettiva, per citarne solo alcuni.

Criterio primario di scelta deve quindi essere il superiore interesse morale e materiale del figlio, al di di ogni pregiudizio ideologico e culturale, posto che non è il genere il criterio dirimente, ma sono una serie di ulteriori elementi che vanno ben soppesati e valutati, specie alla luce di una struttura socio – famigliare che è evidentemente differente dal passato, che vede una parità di ruoli all’interno della famiglia tra padre e madre, tale da rendere il ruolo genitoriale di entrambi certamente diverso rispetto a quello che era un tempo.

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Emergenza sanitaria e diritto di visita dei figli di genitori separati

Come comportarsi in merito alle visite dei bambini in questo periodo di emergenza sanitaria se siamo separati?

Innanzitutto un punto fermo l’ha dato il Governo, interpretando la normativa nel modo seguente: gli spostamenti per raggiungere i figli presso l’altro genitore o per condurli presso di sé sono consentiti, con il limite di scegliere il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario, nonchè secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori.

Questa la possibilità; ma ci si deve interrogare, da genitori ragionevoli e consapevoli, sull’opportunità di valutare come comportarsi. Potrebbe magari essere scrupoloso ridurre gli spostamenti e optare per l’uso della teconologia (ad esempio videochiamate). E nel caso di disaccordo tra i genitori o dubbi, gli operatori del settore invitano ad affidarsi al supporto delle figure di riferimento in materia, quali ad esempio gli avvocati che assistono o hanno assistito nella fase di separazione e divorzio, che in qualità di mediatori possono aiutare a gestire le modalità di visita in questo periodo difficile che, paradossalmente, potrebbe diventare un ottimo banco di prova per recuperare una collaborazione tra genitori, sebbene separati, nell’ottica di tutela e benessere dei propri figli.

Perchè se è vero che il rapporto di coppia può finire, si è però per sempre genitori ed in questa veste si dovrà necessariamente collaborare per garantire la serena crescita dei propri figli.

Violenza sulle donne: quali forme di intervento e tutela?

Violenza sulle donne: parlarne oggi sembra cosa semplice, ma in realtà è solo nel 1993 che questo tipo di violenza è stata classificata come violazione dei diritti umani e successivamente nel 2002 qualificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un problema di salute pubblica, tanto che per medici ed operatori di pronto soccorso esistono apposite linee guida per gestire donne le vittime di violenza anche in caso di accesso emergenziale in pronto soccorso.

Tante possono essere le forme di violenza contro le donne e tra queste la più nota è forse quella domestica, ossia quella perpetrata da un membro della famiglia, spesso il partner, ma non necessariamente. E non si tratta solo di botte: la violenza può essere fisica, certo, ma ne esistono di modalità più subdole, meno evidenti, quali quella psicologica o economica. E in molti casi a subirne gli effetti sono anche i figli, vittime anch’essi di una forma di violenza detta secondaria.

Ma la violenza può essere esternata anche sul posto di lavoro sotto forma di molestie o discriminazioni, o ancora legata a tradizioni culturali, come nel caso delle mutilazioni genitali o dei matrimoni combinati e l’elenco può continuare.

Cosa fare se si è vittima di violenza o si è a conoscenza di donne che subiscono o hanno subito atti violenti?

Premettiamo che esistono reti antiviolenza composte da operatori esperti in varie materie che sostengono vittime, autori e minori: operatori sanitari, avvocati, psicologi, forze dell’ordine, centri antiviolenza…

Ciò premesso, a seconda dei casi, ci si potrà rivolgere a:

– centri antiviolenza: si attiveranno per dare tutela alla donna sotto varie forme (psicologica, legale, abitativa…), accompagnando la donna nel percorso per affrontare ciò che le sta accadendo e riprendere in mano la propria vita, libera dalla violenza e con una riacquisita consapevolezza di sé e delle proprie capacità e possibilità;

– forze dell’ordine / avvocati: forniscono supporto nel formalizzare denunce o querele per le violenze subite e richiedere, ove ne sussistono i presupposti, misure protettive quali misure cautelari, misure di prevenzione, ordini di protezione…;

– questore: nelle ipotesi di stalking e violenza domestica, a determinate condizioni è previsto lo strumento dell’ammonimento, con cui il questore ammonisce appunto il maltrattante; è una forma di tutela anticipata che ha lo scopo di frenare o bloccare l’escalation criminale senza denunciare, posto che si tratta di un atto di natura amministrativa;

– pronto soccorso: quando una donna giunge in pronto soccorso a causa di un atto violento subito (percosse, lesione, violenza sessuale…) si attiva una procedura apposita ad intervento e sostegno psico – fisico della donna.

Viste le forme di tutela per la donna, è bene ricordare che esistono forme di sostegno anche a favore degli uomini maltrattanti, percorsi che aiutano l’uomo violento ad affrontare la sua condizione, con la volontà di uscirne.

Da ultimo alcuni riferimenti utili:

– 1522: numero nazionale antiviolenza;

– app Non sei sola: app di regione Lombardia che, tra le altre funzioni, permette di ricercare i centri antiviolenza più vicini;

– app areu: app di regione Lombardia che, tra le altre funzioni, permette la chiamata muta, fondamentale in casi di violenza ove, ad esempio per la presenza del maltrattante, la donna non può parlare.

Se avete considerazioni o domande specifiche, potete utilizzare la sezione contatti del sito.

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Chiara Mussi – Avvocato

Cyberbullismo: aspetti di base

Per affrontare il tema del cyberbullismo in tutti i suoi aspetti non basterebbe un manuale, ma iniziamo a vedere come lo definisce la legge: “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identita’, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonche’ la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o piu’ componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo” (articolo 2 legge 71/2017).

Detto in parole semplici, si ha cyberbullismo quando un soggetto minore che fa del male ad un altro minore attraverso mezzi telematici quali ad esempio i noti social network o gli strumenti di messaggistica, così da sottoporlo ad una spettacolarizzazione violenta potenzialmente globale che lo riguarda, ma certamente rilevante dal punto di vista delle conseguenze nella cerchia di conoscenze.

Gli attori del cyberbullismo sono tanti e tra questi troviamo sicuramente autori, vittime, genitori, insegnanti e figure educative e di riferimento in genere.

Per quanto riguarda le responsabilità, iniziamo col dire che ce ne sono essenzialmente di due tipi: una penale per cui è punibile solo il minore ultraquattordicenne autore di fatti che costituiscono reato e una civile che ammette richieste prevalentemente di tipo risarcitorio anche nei confronti, a determinate condizioni, dei genitori dell’autore e/o dell’amministrazione scolastica, oltre a richieste di oscuramento dei contenuti postati rivolte al gestore del sito internet dove il fatto è “accaduto” o ancora l’istanza di ammonimento rivolta al questore. Vittima può essere invece ogni soggetto minore degli anni diciotto.

Per quanto riguarda la scuola, essa ha un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda la prevenzione, ma anche in fase successiva rispetto a fatti rilevanti, posto che il dirigente scolastico informa i genitori dell’autore del fatto e della vittima, attivando azioni di carattere (ri)educativo, ma anche eventualmente punitivo (ove i fatti costituiscano reato, saranno invece le autorità a procedere d’ufficio o a seguito proposizione di querela).

Per ora mi fermo qui, posto che le informazioni da fornire sarebbero moltissime.

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Chiara Mussi – Avvocato

Violenza assistita: bambini vittime involontarie

Si definisce violenza assistita quel particolare tipo di violenza soprattutto di natura psicologica subita dai bambini costretti ad assistere ad episodi di violenza fisica o psicologica all’interno del contesto famigliare. Bambini e adolescenti sono troppo spesso costretti ad essere spettatori involontari dei più svariati generi di violenza perpetrata tra genitori o altre figure di riferimento affettivo, con gravi e spesso irreparabili conseguenze sulla psiche e dunque sulla crescita psico – fisica.

Posta la gravità della situazione ed il numero elevatissimo dei casi, le pena per chi compie reati in ambito famigliare alla presenza di minori sono aumentate in virtù dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 11 quinquies del codice penale ed i minori sono considerate a tutti gli effetti persone offese dal reato, con tutte le conseguenze processuali e non solo che ne derivano quale, tra le altre, la facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale a carico dell’autore della violenza primaria.

Resta comunque il problema di scoprire tali situazioni ed intervenire in maniera da tutelare i minori, ma come ben sappiamo quello sociale è l’aspetto più difficile da gestire, molto più di quello normativo – giuridico.

Per quanto riguarda i casi di violenza tra coniugi in fase di separazione, è bene ricordare che l’accertata condotta violenta di un genitore in ambito famigliare può essere causa di esclusione del regime ordinario di affidamento congiunto, determinando così la possibilità per il giudice civile di adottare il regime dell’affidamento esclusivo. La motivazione è evidente: il principio di bigenitorialità incontra un limite nell’atteggiamento violento e penalmente rilevante di un genitore verso l’altro.

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Vittime di violenza: un cortometraggio che tocca il cuore

Chiunque può essere vittima di violenza: una donna che viene picchiata dal compagno, un papà a cui sono negati i figli, un bambino che è costretto ad ascoltare le liti dei genitori, una dipendente che per non perdere il lavoro si sottomette al datore di lavoro…

Le forme di violenza sono infinite e altrettanti possono esserne i destinatari.

E’ difficile chiedere aiuto, si teme di non essere capiti, di essere giudicati, di sentirsi dire di sopportare, che passerà, che si stanno ingigantendo le cose.

 E ancora peggio sono i casi in cui la violenza diventa parte della propria vita e non la si denuncia perchè diventa normale.

Il cortometraggio “piccole cose di valore non quantificabile” ci porta a pensare a tutto questo: da qualunque parte stiamo o potremmo essere, è lo specchio di una realtà che ci circonda ma che forse troppo spesso non vogliamo o ci fa comodo non vedere.

Buona visione.

Separazione tra coniugi e affidamento alternato della prole

In caso di separazione di coniugi con figli minori è ormai la regola l’affidamento condiviso, per cui i genitori esercitano congiuntamente la propria responsabilità. Se questo è vero in teoria, nella pratica quasi sempre si perde il confronto costruttivo sulle questioni relative a crescita, educazione e istruzione della prole, posto che è evidente come sia più facile che tali scelte siano espressione della prevalente volontà del genitore collacatario. Di conseguenza l’osannato diritto alla bigenitorialità, ossia il diritto del minore di godere della presenza e della cura di entrambi i genitori in egual misura e maniera, viene di fatto meno. Un modo innovativo, ma poco noto e messo in pratica nell’ordinamento italiano, è quello dell’affidamento alternato, in base al quale i figli trascorrono periodi prestabiliti alternativamente con l’uno e con l’altro genitore. Tale decisione va chiaramente soppesata nel caso concreto in base a molteplici fattori che abbiano come filo conduttore la tutela ed il benessere del minore. Tornando al contenuto concreto di tale tipologia di affido, si può dire che di fatto i minori in questo caso non saranno collocati presso un genitore preferenziale e previamente stabilito, ma alterneranno la propria presenza presso entrambi. Ciò comporta che i poteri inerenti alle scelte di vita quotidiana del minore saranno esercitati di volta in volta dal genitore presso cui il minore vive; la responsabilità resta al contrario in capo ad entrambi i genitori rispetto alle scelte di vita educative più importanti. È evidente che questa tipologia di affido, ove ritenuta opportuna, parifica di fatto la figura dei genitori, inducendoli a ritenersi ugualmente responsabili nei confronti del minore, in un’ ottica di collaborazione paritaria. Per quanto riguarda l’obbligo di mantenimento, tale forma di affidamento può prevederne il superamento, posto che le esigenze ordinarie della prole sono soddisfatte direttamente dal singolo genitore ed in egual misura per il tempo in cui il figlio dimora presso di lui. Resta ferma la divisione al 50% ciascuno ( o in altra misura) delle spese straordinarie.

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Furto lieve per bisogno

Un grave stato di indigenza può portare alla disperazione e questa, a sua volta, può indurre a commettere dei piccoli furti, quelli che la legge chiama “furti per bisogno”.

Ma quando un furto può essere definito tale? Non solo la cosa sottratta deve essere di tenue valore, dovendo altresì essere diretta a soddisfare un grave ed urgente bisogno, che non necessariamente deve avere natura alimentare, ben potendo consistere in beni di altra natura e categorizzazione. Occorre altresì una particolare condizione soggettiva del soggetto agente, ossia uno stato di grave e non dilazionabile bisogno, stato che non può che eliminarsi se non appropriandosi della cosa altrui.

Peraltro lo stato grave di bisogno può essere sia proprio che altrui: pensiamo al banale esempio di una madre che sottrae del latte per il figlio o una coperta per ripararlo dal freddo invernale. Condizione fondamentale resta quella per cui non soddisfacendo il bisogno tramite la sottrazione della cosa si determinerebbe un danno o un pericolo in capo ad un soggetto.

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